lunedì 18 febbraio 2013


MUCCHETTI: «ECCO COME USCIRE DALLA CRISI MONDIALE DEI MEDIA» 

Grande firma del giornalismo economico, Massimo Mucchetti, già vicedirettore ad personam del Corriere della Sera, si presenta come candidato al Senato per il Pd. Fine conoscitoredegli ambienti imprenditoriali, indagatore dei segreti finanziari più inconfessabili della cosiddetta “razza padrona”, Mucchetti negli anni ha subito, a causa delle sue inchieste “scomode”, anche intercettazioni illegali ed intromissioni sui suoi computer. Il suo gruppo editoriale ha clamorosamente annunciato uno stato di crisi, dovuta alla forte diminuzione delle risorse pubblicitarie e alla difficile transizione verso la crossmedialità digitale. In ballo ci sarebbe anche la riduzione di 800 posti di lavoro, tra esuberi e prepensionamenti. A questa manovra rigorista e ottusa le organizzazioni sindacali hanno già scelto di rispondere unitariamente, programmando anche 10 giorni di sciopero e avanzando proposte alternative. Ecco, quindi, la lucida analisi di Mucchetti sulla situazione più generale di tutto il settore. Qual è la tua analisi di questa crisi della stampa? Deriva solo dalla mancanza di risorse o anche da legislazioni che non facilitano la libera concorrenza?«Oggi l’emergenza è data dalla recessione che inaridisce la fonte dei ricavi pubblicitari, per la stampa, per la televisione, per la radio. L’unico soggetto in forte crescita è Google. La sua offerta pubblicitaria, con il programma AdWords, risulta ottima per gli utenti e assai redditizia per il motore di ricerca. Ormai Google è di gran lunga la terza concessionaria di pubblicità italiana. Ma ha due caratteristiche singolari: non è sottoposta ad alcuna regola per la tutela della concorrenza; non paga le imposte in Italia. La recessione colpisce, inoltre, le vendite dei giornali e frena gli abbonamenti anche alla Pay-tv. Se si esclude SKY Italia, che fa parte di un Network internazionale, e la sullodata Google, l’intera industria della comunicazione in Italia ha l’acqua alla gola. Paradossalmente, nel prossimo futuro, l’azienda che potrà vantare la migliore affidabilità sul fronte dei ricavi sarà la RAI, grazie al canone, il cui gettito potrebbe essere aumentato attraverso il recupero della forte evasione. Le altre emittenti, da Mediaset a LA7, sono ormai entrate in una grave crisi: Per non parlare delle TV locali che oggi ancora in qualche modo reggono, grazie a sussidi di stato. La legislazione della concorrenza nei settori dei media va dunque ripensata, alla luce delle politiche industriali, indispensabile per assicurare la concorrenza medesima, il pluralismo delle culture, e la sopravvivenza e lo sviluppo delle aziende nel nuovo contesto di un’economia a un tempo travolta dalla recessione e sfidata dalla rivoluzione tecnologica. Non ha senso riproporre gli schemi dei primi anni Novanta. Oggi abbiamo dei nuovi monopoli nella Rete, gli OTT, gli Over The Top.». La Rete è in forte espansione, ma non ancora ci sono proventi pubblicitari adeguati. I grandi gruppi editoriali sembrano non riuscire a sfondare in questo nuovo business. Non pensi che Google rischia di diventare un monopolista nella raccolta pubblicitaria? «I grandi e piccoli gruppi editoriali e televisivi faticano a fare fatturato pubblicitario sulla Rete e ancor più arrancano nel proporre contenuti a pagamento. Non è una debolezza italiana, è una difficoltà che colpisce gli editoridella carta stampa e della radiotelevisione di tutto il mondo. Google è un luogo dove l’offerta dell’inserzione pubblicitaria si fa utilizzando contenuti di tutti i generi, prodotti da terzi, grazie al motore di ricerca, che, avendo raggiunto una percentuale di utilizzo enorme, grazie alla sua efficienza consegna alla multinazionale di Mountain View una posizione di fortissimo monopolio. Molto più forte, per dire, di quello esercitato da Mediaset nella raccolta televisiva. La strada scelta in Francia dal governo, che ha stretto un accordo con Google per la creazione di un fondo di 60 milioni di euro a favore dei new media, è soltanto l’inizio. Basta fare due conti. Il fatturato di Google in Italia si avvicina ai 700/800 milioni di euro: non possiamo essere più precisi, perché la contabilità viene fatta a Dublino. In Francia si stima superi il miliardo di euro, data la maggiore digitalizzazione del paese. Ma Google non paga le imposte nemmeno in Francia, ovviamente, e utilizza i diritti d’autore altrui senza remunerarli. L’accordo francese comporta un onere del 6% e forse meno sul fatturato: troppo poco per remunerare equamente i diritti d’autore utilizzati e al tempo stesso l’erario».Tu prevedi grandi sommovimenti di proprietà nel mondo dei media dopo queste elezioni? «Intanto, Telecom Italia Media vuole vendere LA7. Ma una crisi radicale come quella in atto non potrà non avere riflessi sugli assetti proprietari anche di altre imprese editoriali e televisive. Non dimentichiamo che il Patto di sindacato di RCS/  Mediagroup si avvicina alla scadenza e che anche Mediaset naviga in cattive acque. In questo contesto economico e tecnologico, la legge Gasparri, che nella sostanza non tiene conto degli Over The Top, Google in testa, appare ormai superata. Sarebbe quindi intelligente che le imprese del settore decidessero i tempi, i modi e le finalità delle proprie ristrutturazioni nel nuovo contesto normativo che aggiornerà il quadro, fin qui disegnato dalle legge sull’editoria e dalla Gasparri medesima».Anche Bersani ha invitato Telecom a non precipitare le decisioni sul LA7, prima delle elezioni. E Berlusconi ha reagito sostenendo che il leader del PD pressa la Telecom a prendere tempo, affinchè l’eventuale governo di centrosinistra possa colpire Mediaset e con ciò valorizzare l’ emittente di Telecom Italia….
«Bersani ha fatto un discorso di puro buon senso. Io stesso con un intervento sul Messaggero avevo invitato il Cda di Telecom Italia a rinviare qualsiasi deliberazione sul futuro di Telecom Italia Media a quando si fosse chiarito il nuovo contesto normativo per i settori delle TLC e delle comunicazioni in Italia. Quanto a Berlusconi, si può osservare come anche in questa circostanza il suo punto di riferimento non sia l’interesse del settore dei media a crescere nel nuovo contesto tecnologico, nonostante la recessione; ma la difesa di Mediaset all’interno di uno status quo che, come dimostrano gli stessi bilanci del Biscione, non è più in grado di assicurare l’ antica prosperità della TV commerciale italiana. Fosse vero, e non lo è, che il governo di centrosinistra favorirebbe LA7, non si capirebbe perché la Telecom debba anticipare la vendita, come le suggerisce oggi Berlusconi».                          p.c.m.s.r.d.g.
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