mercoledì 28 novembre 2012


TRA I DANNATI DELLE POLIZZE COSÌ L'INA SFRUTTA I PRECARI

Questo articolo inizia con un’avvertenza: le persone che troverete citate non hanno nome e cognome ma delle sigle. Sono riconoscibili con dei numeri. L’anonimato è una scelta concordata. Chi parla con noi ha paura di conseguenze legali o teme il licenziamento. D’altronde sono abituati ad essere trattati come numeri. Così li considera Ina Assitalia agenzia di Milano, la società per la quale lavorano o hanno lavorato, svilendo la loro dignità, spesso il loro conto in banca, quasi sempre la loro persona. Numeri, si diceva, utilizzati per rimpinguare il conto economico di una società che nelle assicurazioni è una corazzata e nel ramo delle polizze pensionistiche un modello di riferimento, ma che per molti dei dipendenti rappresenta solo un girone dantesco. Chi ci introduce negli inferi della sede in via della Liberazione, nella zona est della città, è il “lavoratore numero 1”. È un manager, meglio, un ex manager, visto che ha lasciato l’agenzia da qualche mese - la società fa capo alla Leonardo Assicurazioni srl di Gian Luca Buzzetti -, ma per noi è qualcosa di più: è anche una guida. Perché conosce tutta la struttura, gli ingranaggi, i metodi da «medioevo» utilizzati dall’assicurazione per fare soldi sulla pelle dei propri dipendenti. Il nostro viaggio all’interno dell’Ina Assitalia di Milano inizia dalla descrizione della sua struttura. La società ha una forma piramidale. In cima, come detto l’agente generale, che dirige sei responsabili di struttura, che controllano cinque o sei manager a testa, che a loro volta hanno mani libere sui consulenti a partita iva, (circa trecento persone frazionate in gruppi da 10-15 persone) «il carburante che alimenta una macchina che macina quattrini» come ricorda “lavoratore numero 2”, ventisei anni ancora assunto. All’interno del girone si accede attraverso il reclutamento fatto, ci dice «numero 1» da «una decina di belle ragazze incaricate di trovare le persone da inserire». Il verbo trovare è quello esatto «perché sono pagate in base al numero di individui che riescono a incastrare: e per questo ricevono gli incentivi». Non conta da dove vengono. Ad esempio, “lavoratore numero 3”, che ha ventiquattro anni e che si è licenziato poco prima dell’estate, ci spiega che lui il curriculum a Ina Assitalia non l’ha «mai mandato. L’avevo spedito ad un’altra azienda ma mi hanno contattato loro». I candidati – secondo il racconto di “numero 1” «devono avere due caratteristiche: «Una parte deve essere molto forte per poter crescere e diventare, un giorno, manager, gli altri devono essere plagiabili per poter fornire nuovi nominativi».Questi sono il valore aggiunto che l’azienda chiede ai suoi consulenti: la rete di conoscenze, i rapporti di parentela, gli amici, tutti numeri telefonici da poter contattare e poter far confluire in un “data base”: in una parola l’agenda. «Le referenze – dice “numero 4”, come molti venuti a Milano dal profondo Sud - sono obbligatorie. Quando entri la prima cosa che ti chiedono». Il reclutamento è a ciclo continuo. «Di media inseriscono 40 persone al mese – dice “numero 1” - questo fattore è decisivo perché più persone immetto in struttura più nominativi da chiamare possiedo, più contratti posso stipulare». Più che altro pensioni integrative. Come spiegano nel corso di preparazione al lavoro, fatto di sorrisi, strette di mano e illusioni. “Numero 4” racconta: «Non ti spiegano altro al di fuori delle polizze pensione, perché è il prodotto su cui puntano». Le polizze pensione sono quelle che creano più valore per l’azienda perché vincolano l’assicurato a versamenti per lunghi anni. E sono la polpa della rete commerciale, quella che assicura linfa alla società. «I responsabili di struttura e i manager - racconta “numero 1” vengono pagati con un fisso (da 1500 a 8000 al mese) più degli incentivi a raggiungimento del risultato. Significa che ogni mese viene deciso dall’agente generale un budget di area da raggiungere: se il manager raggiunge il budget, oltre al suo fisso riceve anche l‘incentivo, altrimenti riceve solo il fisso». Se non si raggiunge il budget un manager può essere degradato. I consulenti, invece, hanno un stipendio di 1000 euro lordi al mese e ricevono delle provvigioni sulle polizze che fanno (una da 1200 euro anno concede provvigioni intorno a 360 euro). Nonostante siano considerati dei liberi professionisti hanno un orario di lavoro dalle 8,30 alle 20,00 e sono obbligati ad una riunione alla mattina e una alla sera,in più sono costretti ad effettuare telemarketing (chiamate al mercato) dalle 18,00 alle 20,00. I consulenti devono produrre (fare polizze). “Numero 4”: «Lavoro 12-14 ore al giorno. Mi chiamano al telefono anche di notte, mi costringono a lunghissime sessioni telefoniche». Tutti i consulenti sono sottoposti a regole stringenti. «Nel contratto – spiega “numero uno”-sono imposti dei minimi produttivi al consulente. Deve fare almeno 3 polizze al mese altrimenti non riceve né il fisso previsto dal contratto, né le provvigioni”. Per sfruttare al massimo la macchina si crea un sistema di punizioni: al consulente si impongono orari di lavoro ulteriori, si impongono momenti di isolamento oppure si sottopone il lavoratore a una seduta di insulti (o «motivazione»).I consulenti non solo devono fare polizze ma devono controllare che i clienti continuino a pagare queste polizze. L’Ina di Milano non ha il problema del rischio di impresa, perché lo scarica sui consulenti. Nel caso in cui il cliente non paghi una rata questa viene scalata dallo stipendio del consulente. Se il cliente non paga anche le successive 2 rate al consulente vengono tolte le provvigioni che gli sono state versate. L’esempio ce lo fornisce l’ex manager “numero 1”: «Vendo una polizza da 1200 euro l’anno e ricevo 360 euro di provvigione. Se un giorno il cliente (per suo problemi personali) non paga la mensilità, vengono tolti 100 euro di stipendio. Se il cliente continua a non pagare vengono tolti altri 100 euro il secondo mese e 100 euro il terzo: dopo il terzo mese mi scalano tutta la provvigione: 360 euro». L’ultimo stipendio conquistato da “numero 4”, ad agosto, è stato di 70 euro. Questo comporta che i consulenti, quando si trovano costretti a fare polizze, cercano tutti i modi, legali od illegali per sopravvivere.Dice “numero uno”: «I responsabili di struttura ed i manager sono spietati: hanno potere di vita e di morte sui consulenti. Per tale motivo molto spesso è migliore diventare amico del manager o del responsabile: gli amici mantengono il lavoro». Gli antipatici vengono sempre, prima o poi, accompagnati alla porta anche se nel frattempo hanno portato dei risultati. Il licenziamento viene sempre evidenziato, per educare chi rimane. Formalmente nessuno si dimette, tutti vengono licenziati, perché non è immaginabile che qualcuno possa lasciare la compagnia. E poi ci sono le multe: il consulente che per sbaglio abbia contattato una persona iscritta al registro delle opposizioni rischia di dover pagare la multa dell’autority all’agenzia che arriva fino a 10mila euro. Per evitare questo la «lista dei non contattabili» viene esposta «ufficialmente» negli uffici: peccato che il consulente con la pagine bianche in mano debba fare telefonate continue per ore e non possa consultare mai questa lista. Naturalmente in azienda il sindacato è fuori legge: «Da noi – spiega Mimma Fersini della Fisac Cgil – arrivano molti ragazzi che ci chiedono aiuto. Forniamo assistenza legale, aiutandoli a recuperare i crediti, ma abbiamo le mani legate. Giuridicamente sono solo consulenti e anche se avviassimo una causa di lavoro nessuno di loro ha intenzione di tornare là dentro». Per chi parla, poi, c’è lo spettro dell’ufficio legale. I consulenti operano su mandato un contratto di 60 pagine che al momento della firma non è possibile leggerlo. «Chi chiede di leggerlo – dice “numero 1” - molto spesso viene mandato via subito. Ed è sempre fatto presente a tutti di non poter parlare di quello che succede negli uffici». Nessuno deve sapere. D’altronde sono numeri, non persone.                                        d.c.r.m.p.s.
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