venerdì 16 aprile 2010

BERSANI: «VOGLIAMO RIFORME, NON NORME PER LEGA E PREMIER»

«Scusa segretario, Bersani, posso dirti una cosa?», lo ferma il militante con felpa di Emergency indosso, all’ingresso del congresso nazionale Arci. E giù con i consigli al Pd, che dovrebbe «svegliarsi al mattino e dire: oggi l’iniziativa la prendiamo noi. Non andate all’inseguimento di Berlusconi, sennò poi lasciamo terreno a Di Pietro e ai grillini». Dice «lasciamo», Francesco Mazolillo, operatore sociale di Atena Lucana (Salerno). Anche se dentro l’Arci lui è la parte che sta con Vendola: «Il Pd resta l’interlocutore», spiega. Bisogno di un «segretario comprensoriale», lo chiama. Bisogno di sinistra. «Non preoccupatevi che non abbiamo nessuna intenzione di cucire vestiti su misura né per Berlusconi né per la Lega, non siamo una sartoria, ci interessano le riforme», rassicura Pier Luigi Bersani, che sceglie la platea dell’Arci, raccolta nella terra del neoletto Enrico Rossi (al suo fianco) per replicare anche a chi (ieri Franceschini, per esempio) «quando parla delle “regioni rosse” sembra quasi che ci sia da vergognarsi, se lì siamo andati avanti» o pensa che dietro il risultato elettorale lì ci sia «un abile pragmatismo che riesce ad aggiustare tutto» mentre la chiave «è l’equilibrio politico valoriale lì raggiunto». «Valori», dice Bersani. Non a caso l’applauso lo conquista quando parla di difendere la Costituzione, e su Emergency, «bisogna che il governo una parola buona la dica». Meno quando ripete l’analisi del voto. Comunque: «Noi dobbiamo togliere il tappo alla bottiglia, reagire, ci sono forze e energie che vanno risvegliate, mentre il governo sta addormentando il paese», dice parlando della «crisi che il governo vuole nascondere, con il risultato che siamo l’unico paese a non aver adottato misure anti-crisi» ed evocando persino il ritorno a una «ideologia» di sinistra. «Chiamatela pure sistema di pensiero, ma anche il berlusconismo è una ideologia e allora mentre picconiamo l’ideologia altrui tiriamo un po’ su anche la nostra». Davanti ha una platea, che, a parte la sintonia scontata, certo al Pd non lesina critiche. Dare la «sveglia» alla politica, si diceva una volta. Uno schema consolidato, ormai. L’Arci non si sottrae, anzi. Ma lo fa, con l’idea che poi si va dalla stessa parte, «ciascuno nel proprio ruolo». E con l’aggiunta di un po’ di spirito di Porto Alegre, «quando (dieci anni fa, ormai) cominciò a risuonare lo slogan un altro mondo è possibile». Dall’ Isola A inaugurare il congresso ha chiamato Pietro Marongiu, operaio della Vilnys di Porto Torres, direttamente dall’«isola dei cassintegrati». Molto “Arci”: «Arcincazzato». E ne ha per tutti l’industria italiana, «che si fa portar via né il governo né con i politici dell’opposizione. Se noi abbiamo trovato un altro modo di fare protesta, ce la possono fare anche loro». Il presidente dell’Arci Paolo Beni preferisce il termine «indignato», ma «incazzato», non lo disdegna. «Indignazione», è la parola chiave nella sua lettura del paese, della crisi e della politica. E va giù duro anche sulla sinistra. «Onestà e trasparenza nei comportamenti, anche privati, sono requisiti essenziali e la sinistra non può derogare, né a Bologna né a Bari». E quanto al risultato elettorale «la sinistra paga la percezione che manchi un progetto credibile di alternativa» e pagagli errori «il primo? Pensare che il lavoro nel territorio fosse tempo perso e che bastasse parlare alla gente da un salotto televisivo». La sveglia, appunto. La gente non è che non vuole sentire parlare di politica, spiega. Vedi le «primarie». Vedi il successo della mobilitazione fai-da-te del «popolo viola». «Ma non basta la piazza, non bastano i gazebo». C’è bisogno di «nuova politica». Già, da dove si comincia? Dal territorio, ovviamente. Quello dove l’Arci «c’è già” con i suoi5.600 circoli “presidi di resistenza” e “laboratori di un altro federalismo, solidale e radicalmente democratico», rivendica, a togliere banalità al suggerimento. E poi da quell’indignazione che è la parola chiave del discorso che l’Arci consegna alla sinistra. Indignazione per «chi davanti al terremoto se la ride pregustandogli affari» per la crudeltà del sistema carcerario, per «l’ipocrisia di chi versa lacrime di coccodrillo a ogni morte sul lavoro», per chi continua con «la favola dell’ottimismo» davanti alla crisi, per lo smantellamento della scuola pubblica, per Rosarno e per l’ipocrisia di chi si stupisce di Rosarno, dice, in un paese in cui si sta facendo strada un «razzismo senza ideologia» e «la condizione dei migranti è lo specchio dei rischi che corriamo». Una «bomba a orologeria» da disinnescare subito. Ad ascoltarlo in prima fila, con Bersani, e Franco Grillini, in rappresentanza dell’Idv, il neoeletto presidente della Toscana, Enrico Rossi: «Su immigrazione e difesa della scuola pubblica noi sfidiamo la Lega e la destra». Il suo discorso piace molto alla platea. Alla fine è proprio lui la migliore risposta di Bersani e del Pd al «popolo dell’Arci». Quella che gli permette di argomentare con esempi concreti la promessa con cui saluta: «Ci ritroveremo, sappiate che nel Pd troverete il partito del lavoro e delle nuove generazioni, della Costituzione (il passaggio più applaudito ndr ) e della nuova unità di questa nazione.

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